Randy Mamola compie 60 anni!

Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
E’ uno dei piloti più estroversi e più amati del motociclismo, anche se in tredici anni di carriera nella classe 500 non ha vinto titoli mondiali. Ha corso con Suzuki, Honda, Yamaha e Cagiva. Generoso da sempre, è tra i fondatori di "Riders for Health" in favore delle popolazioni africane
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
9 novembre 2019

Randy Mamola, l’eterno ragazzo, compie i sessant’anni. E’ nato in California a San Josè, cinquanta miglia a sud di San Francisco, il 10 novembre del 1959. Stesso anno di John Mc Enroe e Magic Johnson. Randy non ha mai vinto titoli mondiali, e in totale vanta “soltanto” tredici vittorie nei Gran Premi della classe 500 in altrettante stagioni, dal 1979 al 1992, eppure occupa un posto in prima fila nel motociclismo e nel cuore degli appassionati.

Funambolo, esagerato, generoso. Lontane origini siciliane. Conservo nella memoria alcune scene che, come fossero altrettante fotografie, vi voglio proporre perché raccontano bene il personaggio.

Scena 1: la prima volta che vidi Randy Mamòla - che allora, prima che ci correggesse, chiamavamo Màmola - fu nel 1974 a Imola. Randy aveva a disposizione una Yamaha 250 gialla e nera di Kenny Roberts (era il suo pupillo) e voleva correre la 100 Miglia, gara di contorno tra le due manche della 200 Miglia.
Ma la partenza gli fu negata: troppo giovane, solo quindici anni, capelli rossi e un sacco di lentiggini. Però l’anno dopo era già un pilota professionista nelle gare americane.

Randy: «Sono nato nel 1959, quindi vengo dagli anni Sessanta. C'erano droghe in giro, movimenti hippy, Harley e Hells Angels. Mio padre era un meccanico e mi teneva con i piedi per terra, sono stato educato alla vecchia maniera e se fossi uscito fuori dai binari sapevo di dovermi aspettare colpi di cintura! Bene, nel 1972 ricevo la mia prima motocicletta e inizio subito a correre, a dodici anni. L’anno dopo la Indian Motorcycles mi dava moto gratuitamente attraverso una concessionaria di San Jose. E’ successo tutto molto in fretta, correvo anche quattro volte a settimana in tre categorie diverse. Quando avevo diciassette anni ho guidato una 50, una 125 twin, una 250 e una TZ750, tutte in uno stesso evento... Ero molto versatile, come tutti i piloti americani. Inseguivo Kenny Roberts e volevo essere la stella delle piste sterrate del Grand National. E quando Kenny andò in Europa per i GP, io lo seguii».
 

Scena2: Randy Mamola si sta giocando il titolo mondiale 1981 con Lucchinelli. Entrambi guidano le Suzuki 500 RG ufficiali, Marco per il team Gallina Nava-Olio Fiat, Randy con il team Heron-Suzuki GB ed è l’ultima gara ad Anderstorp, in Svezia. Un anno tragico, tra parentesi, perché il 23 marzo è morto Mike Hailwood in un incidente stradale. Ora è il 16 agosto 1981 e piove che Dio la manda. La gara precedente è andata all’italiano, che è andato a vincere tutto solo il GP di Finlandia.

In stagione Mamola ha vinto soltanto due gare (Austria e Yugoslavia) contro cinque, ma è stato più costante dello spezzino: secondo, terzo, quarto… Piove, e con la pista bagnata di solito Lucchinelli va forte, mentre l’americano è in difficoltà, però questa volta sono indietro tutti e due, paralizzati dalla tensione.
Finirà con Marco al nono posto (oltre un minuto dal vincitore Sheene) mentre Mamola, che per acciuffare il titolo avrebbe dovuto vincere, finisce addirittura tredicesimo e doppiato. Ben quattro volte il californiano è arrivato secondo nella classifica generale della 500 (dietro a Roberts, Lucchinelli, Lawson e Gardner), dunque vicino al titolo mondiale.

Randy: «Nell’80 avevo vent'anni e mi sentivo al top perché ero arrivato secondo nel campionato del mondo dietro a Kenny correndo contro piloti del calibro di Barry Sheene. Grande: ho delle foto in cui gli pizzico il c..o. Ho tante foto anche con Kenny, con Eddie, Lucchinelli, Cecotto e compagnia. Sarei la stessa persona se gareggiassi oggi? La risposta è difficile, ma penso che avrei ancora lo stesso carattere. So per certo che dovrei allenarmi fisicamente molto di più, perché le moto che usano oggi sono molto più difficili da guidare rispetto a quelle dei nostri tempi. Mentalmente ci vuole la stessa concentrazione e lo stesso cervello, e farei ancora le impennate sulla ruota posteriore e su quella anteriore, naturalmente, perché io sono così e tuttora mi esibisco con le moto biposto…». 

Scena 3: il rodeo di Misano con la Honda, un video da cineteca. Siamo al GP di San Marino a Misano ed è sabato 31 agosto 1985, prove ufficiali dell’ultima gara della stagione. E’ il mio primo anno da inviato per Grand Prix e il mio operatore è Pepi Cereda che seguiva tutta la F1 e la Dakar, un amico scomparso troppo presto. Fui io a suggerire: “andiamo al Tramonto, che non ci va mai nessuno e portiamo a casa qualche ripresa originale”.

Quando Mamola si esibisce nel suo rodeo in uscita di curva, Pepi lo vede e lo filma senza perderlo e senza perdere il fuoco. Due artisti, l’operatore e il pilota. Rodeo è la parola giusta, Randy non ha mai mollato la presa. Spaventosa è tutta la sequenza, ma in particolare quando il pilota finisce tutto davanti, oltre il cupolino, spaccandolo in mille pezzi con il petto.

La forcella a pacco, la fortuna (va detto) di ritrovarsi in linea al momento dell’atterraggio, la tremenda forza necessaria per riportarsi indietro, e poi ancora quella testardaggine a tenere la moto in equilibrio sull’erba... Sarà Lawson a stabilire la pole, e poi a vincere la gara davanti a Gardner e allo stesso Mamola.

Randy: «Non so nemmeno dire come ho fatto a non cadere: so solo che non ho mollato la presa. Stavo provando un pneumatico un po’ più duro e in uscita di curva avevo qualche problema di grip: se guardate bene, la gomma posteriore si deforma, come se stesse saltando mentre scivolava. Ho avuto solo il tempo di parzializzare un po’, forse, e poi sono stato lanciato sopra la sella e in qualche modo sono ricaduto in asse; poi ho provato a tenere la moto sulla sinistra, cercando di puntare i piedi a terra appena possibile per tenermi in equilibrio. Sull’erba alla fine sono riuscito a rallentare ed è stato tutto più facile».

Scena 4: con la Cagiva Randy impenna e si ribalta: Assen 1989, quella volta l’operatore di Italia 1 era Gigi Soldano, che seguiva con me tutta la stagione. Randy era in Cagiva dall’anno prima con la bella C588, forcellone a banana e carenatura di Massimo Tamburini, una moto che funzionava abbastanza bene e lui aveva portato sul podio a Spa sotto la pioggia (negli anni era diventato forte anche sul bagnato). Poi nell’89 alle grandi aspettative dei fratelli Castiglioni seguì una enorme delusione per via del bilanciamento sbagliato e delle Pirelli da sviluppare: senza motricità, per Randy furono derapate e rovinosi high side.

La gara è quella di Assen, 24 giugno: nel giro di allineamento, Mamola vede Soldano a bordo pista e pensa di esibirsi in una impennata verticale. Troppo verticale. Il bello è che il californiano riuscirà poi anche a partire, per la gara, classificandosi tredicesimo a due minuti. Randy resterà in Cagiva anche per la stagione successiva, insieme ad Haslam e Barros, ma con modesti risultati. Per la prima vittoria della 500 italiana bisognerà attendere Eddie Lawson e il 1982 in Ungheria.

Randy: «Il mio mondo è stato un po’ segnato quando ho firmato per la Cagiva nel 1988. Anche se è stato un periodo fantastico della mia vita, non sono riuscito a vincere le gare e a salire sul podio e quindi, per tutti, sono diventato semplicemente lo showman ... Ma in realtà con le acrobazie avevo cominciato molto prima, fin da quando avevo quattordici o quindici anni ho imparato che le persone in moto sono tra le migliori che puoi incontrare nella vita. Con la moto ti puoi davvero divertire, e allora devi farlo».

 

Scena 5: con la Ducati biposto Randy porta a spasso i VIP e intanto lavora per l’Africa. Mamola raccoglie fondi per "Save the Children" fin dall’86: durante alcuni viaggi in Africa vide che molte moto erano usate per il trasporto di medicinali e apparecchiature nelle zone più remote, ma che spesso erano fuori uso e nessuno sapeva metterle a posto.

Vent’anni più tardi fu tra i fondatori dell'associazione "Riders for Health", che tuttora fornisce moto (e addestramento tecnico per la loro manutenzione) ai progetti di distribuzione medicinali e apparati medicali nelle zone rurali dell’Africa. Anche ciò che guadagna portando a spasso i VIP alla guida della Ducati Desmosedici biposto, nei Gran Premi, finisce a "Riders for Health".
E’ anche per questa sua generosità che il californiano è entrato nella World Championship Hall of Fame pur senza aver vinto titoli mondiali.

Randy: «E’ la cosa più bella che ho fatto nella vita: collaborare nell'aiuto ad oltre quindici milioni di persone. Come lo si può davvero esprimere correttamente e propriamente a parole? Sono stato in Africa e ho visto la realtà, ma ho visto anche le persone che sorridevano, scherzavano e giocavano pur vivendo nelle peggiori delle condizioni. Nella vita sono anche stato in cima al mondo, sono entrato in un negozio e ho comprato una Ferrari, ma dove ho imparato di più? In Africa.

E’ vero, penso di essere il primo pilota ad entrare fra le GP Legend senza aver mai vinto un titolo mondiale. Ma credo che sia importante anche l’attività di beneficenza che faccio: sei un ambasciatore e diffondi e sostieni il tuo sport indipendentemente dal titolo che hai».

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