Diamo i numeri. L’evoluzione dei 4T di alte prestazioni

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Come sono cambiati i motori da competizione? Ecco una analisi dettagliata (Prima parte
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
25 settembre 2020

Il banco prova e la pista parlano chiaro. A parità di cilindrata e di frazionamento un motore moderno eroga una potenza molto più elevata rispetto a uno di diverso tempo fa.

Se prendiamo ad esempio un monocilindrico di 250 cm3 della prima metà degli anni Sessanta e lo confrontiamo con il motore di una attuale Moto3 l’incremento delle prestazioni è impressionante. Dato che per quanto riguarda il regime di rotazione quest’ultimo ha limitazioni imposte dal regolamento, sembra opportuno fare il confronto con il motore di una MotoGP, considerando però un solo cilindro. La cosa è lecita poiché si tratta di un quadricilindrico di 1000 cm3, la cui cilindrata unitaria è appunto 250 cm3.
Siccome però di questi motori tutto sommato si sa piuttosto poco, prendiamo in considerazione anche quelli delle 1.000 sportive a quattro cilindri, dei quali si conoscono le caratteristiche e che non si discostano da essi in misura considerevole come soluzioni costruttive. Per quanto riguarda il motore del passato, prendiamo come riferimento lo splendido 250 Morini bialbero, che a suo tempo è stato il monocilindrico da competizione più evoluto del mondo.

I motori delle odierne MotoGP, come questo Ducati, sono tutti a quattro cilindri di 1000 cm3 (la cilindrata unitaria è quindi 250 cm3) e come stabilito dal regolamento hanno un alesaggio massimo di 81 mm. Sono raffreddati ad acqua e hanno la distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro
I motori delle odierne MotoGP, come questo Ducati, sono tutti a quattro cilindri di 1000 cm3 (la cilindrata unitaria è quindi 250 cm3) e come stabilito dal regolamento hanno un alesaggio massimo di 81 mm. Sono raffreddati ad acqua e hanno la distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro

L’incremento delle prestazioni è stato straordinario e si può sintetizzare come segue. La moto da GP bolognese erogava circa 37 cavalli a 11000 giri/min, corrispondenti a 148 CV/litro.
La potenza di una moderna MotoGP (che ovviamente si identifica con la potenza specifica) è dell’ordine di 265 CV a 16.500–17.000 giri/min. Ogni cilindro, di 250 cm3, eroga quindi poco più di 66 CV. L’incremento è stato perciò quasi dell’80%. Insomma, se i cavalli non sono raddoppiati ci manca poco. Addirittura impressionante è la differenza per quanto riguarda i modelli di serie. Per arrivare alla potenza specifica di un odierno 1000 a quattro cilindri sportivo, quella di una 250 stradale degli anni Sessanta deve essere quasi triplicata!

Per inciso, i motori di Formula Uno aspirati dei primi anni Duemila, che avevano una cilindrata unitaria di 300 cm3, sono arrivati ad avere una potenza specifica leggermente superiore a 300 CV/litro!

È interessante osservare che oggi tra una 1000 a quattro cilindri sportiva ma destinata comunque a impiego stradale e una MotoGP la differenza, in fatto di potenza, è relativamente contenuta: mediamente è infatti solo dell’ordine del 26%. Negli anni Sessanta le cose stavano ben diversamente. Passando da una 250 monocilindrica di serie alla Morini da GP di eguale cilindrata la potenza risultava più che raddoppiata.

Le MotoGP, come la splendida KTM di Binder qui fotografata in piena azione, sono in grado di fornire prestazioni straordinarie. Le potenze sono dell’ordine di 265 CV o poco più e i regimi di rotazione possono anche superare i 16.500 giri/min
Le MotoGP, come la splendida KTM di Binder qui fotografata in piena azione, sono in grado di fornire prestazioni straordinarie. Le potenze sono dell’ordine di 265 CV o poco più e i regimi di rotazione possono anche superare i 16.500 giri/min

Per effettuare la nostra analisi, prima di passare alle soluzioni costruttive (schemi tecnici adottati, disegno e dimensionamento dei componenti, materiali e riporti…), cominciamo col confrontare i parametri motoristici. Ovvero i numeri significativi.

Prima ancora però appare opportuno richiamare alcuni concetti base. La potenza è il prodotto tra la coppia e la velocità di rotazione del motore. A sua volta la coppia è il prodotto della cilindrata per la pressione media effettiva (PME). È chiaro a questo punto che quest’ultima corrisponde quindi alla coppia specifica.

La PME indica la “vigoria” delle singole fasi utili che si svolgono all’interno dei cilindri. A parità di cilindrata e di velocità di rotazione, ha una potenza più alta il motore nel quale essa è maggiore.

La PME è direttamente legata al prodotto dei rendimenti volumetrico, termico e meccanico. È abbastanza intuitivo pensare a una pressione media che se agisse sul pistone durante tutta la corsa di espansione farebbe erogare al motore la coppia che esso in effetti produce.

Dunque, se si vogliono migliorare le prestazioni di un motore, ferma restando la cilindrata, occorre fare in modo di aumentare il prodotto tra il regime di rotazione e la PME. Anche se uno di questi due termini non varia, aumentando l’altro cresce anche il prodotto e con esso la potenza.
Naturalmente i migliori risultati si ottengono aumentando sia il regime di rotazione che la PME ed è questa la strada che è stata seguita dai tecnici nel corso degli anni. Per incrementare la potenza i tecnici hanno migliorato la respirazione, ridotto al minimo le perdite per attrito e per pompaggio, aumentato l’efficienza con la quale il calore sviluppato dalla combustione viene convertito in energia meccanica e al tempo stesso hanno fatto girare più forte i motori.

I V10 di Formula Uno aspirati dei primi anni Duemila erano autentici “mostri” in fatto di prestazioni. Avevano una cilindrata unitaria di 300 cm3 e sono arrivati a superare i 19000 giri/min e i 300 CV/litro. Il merito va anche a una corsa inferiore alla metà dell’alesaggio!
I V10 di Formula Uno aspirati dei primi anni Duemila erano autentici “mostri” in fatto di prestazioni. Avevano una cilindrata unitaria di 300 cm3 e sono arrivati a superare i 19000 giri/min e i 300 CV/litro. Il merito va anche a una corsa inferiore alla metà dell’alesaggio!

Passiamo ora ai numeri, cominciando con il rapporto corsa/alesaggio (C/D). L’obiettivo è raggiungere regimi di rotazione più elevati senza che le sollecitazioni meccaniche diventino eccessive. In altre parole, evitando che la velocità media del pistone al regime di massima potenza risulti troppo alta. In quest’ottica è ovvio il vantaggio che si ha riducendo il rapporto corsa/alesaggio.

Nei motori di Formula Uno aspirati di 3.000 cm3 dei primi anni Duemila tale rapporto è arrivato al valore record di 0,405. Le misure caratteristiche erano infatti 98 x 39,7 mm, con un alesaggio che dunque era nettamente superiore al doppio della corsa! In campo motociclistico non ci si è spinti a tanto. E poi occorre considerare che il regolamento della MotoGP (e della Moto3) oltre alla cilindrata limita anche il valore massimo dell’alesaggio (e di conseguenza anche quello minimo della corsa!). Siamo così arrivati a 0,598 (valore ottenuto con un alesaggio di 81 mm e una corsa di 48,4 mm). Nei 1000 quadricilindrici sportivi il rapporto C/D oscilla tra 0,725 e, appunto, 0,598. Il glorioso Morini 250 da GP degli anni Sessanta aveva un alesaggio di 72 mm e una corsa di 61 mm; il rapporto in questione era quindi 0,847.

Sempre rispetto al monocilindrico bolognese del passato, i regimi di rotazione dei motori da corsa che stiamo esaminando hanno subito un incremento dell’ordine del 55%. Sono infatti passati da 11.000 a circa 17.000 giri/min.
Ancora più stupefacente è il fatto che in nessuno dei moderni 1,000 quadricilindrici sportivi la potenza massima venga ottenuta a un regime inferiore a 13.000 giri/min.
Si tratta di motori trattabili e fluidi nell’erogazione, che tengono il minimo, sono in regola con le emissioni acustiche e di scarico e hanno durate di decine e decine di migliaia di chilometri. Per inciso, i V 10 di Formula Uno di 3.000 cm3, prima che il massimo regime di rotazione venisse limitato dal regolamento, sono arrivati a superare i 19.000 giri/min…

Vedi anche

La velocità di rotazione e la corsa del motore determinano la velocità media del pistone, che si calcola al regime di potenza massima. Questo parametro fornisce indicazioni affidabili in merito al livello di sollecitazione meccanica del motore. Nel monocilindrico Morini 250 tale velocità era di 22,4 metri al secondo, mentre nei motori delle attuali MotoGP è di oltre 26 m/s, valore addirittura superiore (anche se di poco) a quello raggiunto dalle Formula Uno di 3 litri dei primi anni Duemila.

È interessante segnalare che negli odierni 1.000 sportivi a 4 cilindri la velocità media del pistone si attesta su valori compresi tra 22,4 e 24,7 m/s.

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