Le quattro cilindri italiane da GP: la fine di un’era

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Il canto del cigno della Benelli e le ultime MV che hanno chiuso l’epoca gloriosa delle quattro cilindri italiane da gran premio
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
4 ottobre 2019

Il periodo “classico” delle corse motociclistiche è legato, per quanto riguarda le case italiane, ai motori a quattro tempi. Nella classe regina i pluricilindrici sono stati oggetto di una progressiva evoluzione che ha toccato il suo culmine con l’ultima MV Agusta 500 (e con la sua gemella di 350 cm3).

All’inizio degli anni Settanta l’offensiva delle moto a due tempi si faceva sempre più preoccupante; leggere, agili e assai semplici sotto l’aspetto meccanico, avevano una potenza che cresceva in maniera assai sensibile di anno in anno.
Era chiaro che le gloriose tricilindriche della casa di Cascina Costa non sarebbero state più in grado di contrastarle ancora a lungo. Alla MV si è quindi deciso di realizzare nuove moto a quattro cilindri in grado di erogare più cavalli senza una sensibile penalizzazione in termini di peso e di guidabilità, rispetto a esse.
Un maggiore frazionamento e una ulteriore riduzione del rapporto corsa/alesaggio avrebbe consentito di raggiungere regimi di rotazione più elevati e di ottenere una potenza superiore.

In questa foto della testa della quadricilindrica di Cascina Costa si possono notare chiaramente le calotte in bronzo, montate con interferenza, nelle quali erano ricavate le pareti delle camere di combustione e le sedi delle valvole
In questa foto della testa della quadricilindrica di Cascina Costa si possono notare chiaramente le calotte in bronzo, montate con interferenza, nelle quali erano ricavate le pareti delle camere di combustione e le sedi delle valvole

Sul finire del 1971 ha fatto così la sua comparsa una 350 quadricilindrica che, debitamente sviluppata nel corso dei mesi successivi, ha corso l’anno seguente conquistando il titolo mondiale, impresa ripetuta nel 1973.

Viste le eccellenti prestazioni fornite dalla nuova moto, da essa si è ricavata una versione di cilindrata maggiore destinata a sostituire la tre cilindri. Dopo un primo step con cilindrata di 433 cm3 il motore è stato rapidamente portato a 500 cm3.
Spiccava la grande compattezza del nuovo quadricilindrico, dotato di una distribuzione bialbero a 16 valvole e di un blocco cilindri incorporato nella medesima fusione della parte superiore del basamento. Nel corso dello sviluppo la testa ha subito varie modifiche. La più importante ha riguardato l’angolo tra i due piani sui quali giacevano le valvole, che è passato dagli iniziali 45° a 35° (valore record per il mondo motociclistico dell’epoca).

In quanto alle misure di alesaggio e corsa, pare che ci siano state due varianti leggermente diverse (57 x 49 mm e 58 x 47 mm). Lo schema costruttivo, che è rimasto sempre invariato, prevedeva blocchetti di guida riportati per le punterie a bicchiere (del diametro di 20 mm) e calotte in bronzo installate con interferenza, nelle quali erano ricavate le sedi delle valvole e le pareti delle camere di combustione.
Le canne dei cilindri erano in ghisa e internamente ad esse lavoravano pistoni forgiati muniti di due segmenti ciascuno. Le bielle in acciaio da cementazione lavoravano alla testa su rullini ingabbiati del diametro di 3 mm. L’albero a gomiti composito poggiava su sei cuscinetti di banco a rotolamento, dei quali i quattro centrali erano scomponibili (cioè avevano l’anello esterno e la gabbia in due parti).
Il moto veniva inviato alla trasmissione primaria per mezzo di un ingranaggio piazzato alla estremità sinistra dell’albero; quello che comandava la cascata di ingranaggi della distribuzione era invece collocato centralmente.

L’ultima Benelli 500 da GP era completamente diversa dalle precedenti quadricilindriche della stessa casa. Nel disegno del motore appariva evidente l’influenza della scuola giapponese
L’ultima Benelli 500 da GP era completamente diversa dalle precedenti quadricilindriche della stessa casa. Nel disegno del motore appariva evidente l’influenza della scuola giapponese

La potenza è passata da una novantina di cavalli a un centinaio, a circa 14.500 giri/min, nell’ultima versione.
Questa 500 a quattro cilindri ha conquistato il titolo piloti nel 1973 e nel 1974; l’ultima vittoria in un Gran Premio di campionato mondiale l’ha ottenuta nel 1976 in Germania. Si è trattato del canto del cigno non solo della MV Agusta ma anche del classico quattro tempi da competizione raffreddato ad aria….

L’ultima Benelli da Gran Premio è stata costruita nel corso del 1971 ed è stata sviluppata durante l’anno successivo. Si trattava di una poderosa quadricilindrica di 500 cm3, realizzata anche in versione 350, con distribuzione bialbero a 16 valvole.
L’idea era quella di utilizzarla appieno nella stagione 1973 ma un assaggio delle sue potenzialità si è avuto già nell’estate del 1972 quando sul circuito di Pesaro in una gara internazionale non valida per il mondiale questa moto ha battuto la MV.

L’albero a gomiti composito poggiava su sei supporti che venivano inseriti sui perni di banco all’atto dell’assemblaggio ed erano poi fissati al semibasamento superiore. L’ingranaggio centrale trasmetteva il moto a un albero ausiliario, qui ben visibile, che azionava la primaria, la distribuzione e la pompa dell’olio
L’albero a gomiti composito poggiava su sei supporti che venivano inseriti sui perni di banco all’atto dell’assemblaggio ed erano poi fissati al semibasamento superiore. L’ingranaggio centrale trasmetteva il moto a un albero ausiliario, qui ben visibile, che azionava la primaria, la distribuzione e la pompa dell’olio

Il motore mostrava notevoli somiglianze con i quadricilindrici Honda degli anni Sessanta, dei quali un esemplare pare abbia potuto essere analizzato accuratamente dai tecnici di Pesaro.

Su questa realizzazione non sono state diffuse all’epoca molte informazioni. Le misure di alesaggio e corsa erano quadre (54 x 54 mm) ma ne sono state provate anche altre; di sicuro è stato realizzato almeno un motore nel quale esse erano 53 x 56 mm.
Il blocco dei quattro cilindri, dotati di canne in ghisa, era incorporato di fusione nel semibasamento superiore. Ed esso erano fissati sei supporti in un sol pezzo, in ciascuno dei quali era montato un cuscinetto a rotolamento che veniva inserito su di un perno di banco dell’albero a gomiti all’atto dell’assemblaggio.
Nella testa vi erano quattro calotte in bronzo che, a differenza di quanto avveniva nei motori MV, venivano incorporate di fusione. L’angolo tra i due piani sui quali giacevano le valvole inizialmente era di 70° ma in seguito pare che sia stato leggermente diminuito.

Al centro dell’albero a gomiti vi era un ingranaggio che azionava un albero ausiliario il quale provvedeva a muovere la cascata di ingranaggi della distribuzione, collocata centralmente, a comandare la pompa dell’olio e a inviare il moto alla trasmissione primaria. Poiché quest’ultima era a coppia di ingranaggi, l’albero a gomiti girava “all’indietro” (cioè in senso opposto rispetto alle ruote).

Quando la Benelli ha posto fine alla sua attività agonistica, nella primavera del 1973, sembra che la potenza fosse abbastanza vicina ai 100 cavalli, a un regime dell’ordine di 13.500-14.000 giri/min.

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