Viaggi in moto. L'Adriatico che non ti aspetti

Viaggi in moto. L'Adriatico che non ti aspetti
Primi di luglio. Come di consueto, ovviamente io e la mia ragazza e compagna di viaggio, non abbiamo ancora prenotato niente...
11 ottobre 2013


Qualche mese prima si era parlato del Montenegro, "c'è il traghetto Bari-Bar, tra sistemazione e trasporto ce la caviamo con 350 €". Poi io il tirocinio, lei gli esami, ci siamo visti catapultati nella prima decade del settimo mese dell’anno.
Durante una pausa pranzo di un ispirante giorno 8, arriva l'illuminazione. Andiamo in Croazia, prenotiamo il traghetto Bari-Dubrovnik, passaggio ponte e trasporto del ronzino. Esco dal laboratorio e rientro a casa, la mia ragazza M. mi manda i dati dei suoi documenti e dopo un paio d'ore ho in mano la prenotazione del traghetto e quella della stanza. Il booking online ha fatto il miracolo, permettendomi di prenotare tutto in pochi minuti e spendendo molto meno di quanto preventivato.

Era la prima volta che imbarcavo la moto in traghetto. I forum erano pieni di consigli più o meno utili su come legarla, proteggerla, imbacuccarla, coprirla, e quant'altro. Alcuni post sembravano racconti dell'orrore, con gli addetti alla stiva dipinti come ciclopici mostri spacca-moto e i traghetti come infernali rigurgitatori di rottami. Alla fine mollo l'ansiogena piazza virtuale e mi rivolgo all'amico ultraviaggiatore L.F., conosciuto ad una uscita sul Gargano e quella volta imbufalito quanto me perchè il gruppo si era messo a tirare a rotta di collo mentre noi ci godevamo la strada. Inutile dire che il chiudifila se ne era infischiato e si era messo a fare a gara anche lui.
L.F., con la sua esperienza da attraversatore di continenti, mi elargisce preziosissimi consigli, da quale carta stradale comprare a come assicurare la moto in nave.

La partenza è prevista per il 27 in serata dal porto di Bari ed i venti giorni scarsi passano mentre io continuo a lavorare per chiudere un progetto entro la partenza ed M. a studiare per gli esami. Nei ritagli di tempo serali, complice una guida illustrata acquistata da M., iniziamo a figurarci una bozza di programma con i posti da visitare, che come spesso accade non verrà seguito quasi per niente. L'altra protagonista che non è stata ancora presentata è la moto: una Suzuki GSR600 K8 Yoshimura. Non proprio una turistica insomma. Quando l'ho ritirata nel 2009 non immaginavo che mi avrebbe preso la smania del viaggio e non mi ero posto il problema che è quasi impossibile trovare accessori per aumentare la capacità di carico se non montando gli scarichi di serie, che la mia versione non possiede dall'uscita dal consessionario. L'unico portapacchi utilizzabile è quello originale di mamma Suzuki che costa quasi quanto la vacanza e richiede la foratura delle fiancatine laterali per essere montato. Non che a me dia fastidio forare le fiancate, sia chiaro, ho imparato a vedere la moto come un mezzo e non come un fine ormai da qualche tempo. Ne avevo anche trovato uno usato su un forum, ma me lo sono fatto soffiare sotto al naso da un altro utente qualche mese fa... Poi ho sempre rimandato l’acquisto ed ora come ora ne sono ancora sprovvisto.
Stando così le cose, abbiamo ridotto all'osso il vestiario e portato solo il minimo indispensabile, stipando il tutto in una borsa da serbatoio ed in uno zaino scolastico risalente ai tempi del liceo. Gli anni passati a giocare a Tetris da bambino si sono rivelati utili per stipare il tutto.

GSR 600 K8 Yoshimura
GSR 600 K8 Yoshimura


Il 27 siamo puntuali sul molo alle 8 di sera pronti per l'imbarco. Memore degli spaventosi racconti sulla scivolosità della pavimentazione della stiva procedo con cautela estrema. La mia ansia si è rivelata infondata. L'addetto alla stiva mi fa posizionare la moto di fianco ad una paratia dal lato del cavalletto, prende una fune per niente unta e bisunta e la lega con estremo garbo esattamente come mi aveva consigliato L.F., ovvero dalla pedana destra e quindi al corrimano alla sua sinistra, facendola passare sulla sella; si premura inoltre di mettere due zeppe a bloccare la ruota posteriore. Soddisfatto smonto la borsa e salgo sul ponte e mi preparo alla nottata.
Alle 22 spaccate la nave molla gli ormeggi e lascia il molo e puntualissimo appena usciamo dal porto il mio stomaco va in subbuglio. Io non soffro il mare ma a patto di stare all'aperto. Buttiamo a terra i sacchi a pelo ed M. si addormenta come una bambina, mentre io apro gli occhi ad intervalli regolari di 20 minuti. Alle 5 decido che è una causa persa, mi alzo e vado sul ponte esterno del traghetto a godermi l'aria fresca e l’alba sui contorni croati. E la nausa mi dà finalmente tregua.
Con precisione svizzera la nave attracca alle 7 del mattino e cinque minuti dopo ho le ruote sull'asfalto del molo del porto di Dubrovnik. Ritiriamo del contante in valuta locale, la Kuna, dallo sportello automatico davanti al porto. Se avete letto o vi hanno raccontato che si può pagare in Euro ovunque, sappiate che non è così, viene accettata solo la valuta croata. Sono presenti a questo scopo molti uffici di cambio dove il tasso è di circa un euro per 7,50 Kune.
Potremo prendere possesso della camera solo dopo mezzogiorno quindi facciamo la prima colazione in terra straniera e decidiamo di fare il primo giro di perlustrazione della città e dei dintorni, ci avventuriamo quindi nella baia subito al di fuori del centro abitato. L'insenatura è suggestiva e con la luce del mattino offre scorci caratteristici impreziositi dai riflessi sul mare. Piccole imbarcazioni sono già in fervente attività. Incrociamo il primo benzinaio, il prezzo esposto per la verde è di circa 10 Kune, pari ad appena un euro e 30 centesimi. Ci sono due tipi di benzina contraddistinti dal numero 95 o 98 che ne identificano il numero di ottani e la dicitura "class" nel caso di aggiunta di additivi che ne migliorano la qualità.
Pranziamo al volo e verso l'una siamo al "Rooms Mario" dove la gentilissima signora Maria ci dà il benvenuto in una lingua mista tra croato, inglese ed italiano e ci consegna la chiavi della camera, piccola e spartana ma molto pulita. Abbiamo preferito spendere pochi euro in più per il soggiorno per avere un piccolo bagno in camera. Le camere normalmente ce l’hanno in comune, ma almeno dove siamo stati noi, anche questo è molto pulito, Sul nostro piano addirittura le altre quattro stanze potevano disporre di due bagni, provvisti uno di doccia ed uno di vasca da bagno.
Per poco più di 20 € a testa a notte, oltre alla stanza, possiamo usufruire delle aree comuni tra cui lavanderia, cucina ed un'ampia veranda adombrata da tralci di vite.

Dubrovnik dalle mura
Dubrovnik dalle mura

Dopo due ore di sonno profondo, scendiamo a vedere la città vecchia. La bellezza di Dubrovnik, conosciuta in italiano come Ragusa, le è valsa un posto tra i Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO. E' difficile pensare che appena 22 anni fa questa perla dell'Adriatico abbia subito un bombardamento che non ha risparmiato neppure il centro storico. Se non fosse per la commemorazione ai caduti, sarebbe impossibile dire che questo luogo fuori dal tempo abbia subito gli orrori della guerra.
Acquistiamo il biglietto per il giro delle mura per 90 Kune assolutamente da spendere e ci godiamo i migliori punti di vista dall'alto, per una passeggiata di un paio d'ore e tanti scatti. La sera ci lanciamo tra la folla multilingue di turisti che si aggirano per lo Stradun (impossibile non notare l'influenza veneziana), il corso principale che taglia in due la città vecchia e su cui si affacciano locali e negozi di souvenir. Se dovete portare ricordini a casa abbiate un accorgimento: i negozietti sullo Stradun sono in assoluto i più cari e le stesse cose si trovano praticamente ovunque, quindi se vi spostate nei vicoli o verso le porte, potreste trovare gli stessi articoli sulle bancarelle meno in vista alla metà del prezzo.
Per cena assaggiamo il cevapi, delle piccole salsicce a base di manzo, agnello e spezie, piatto che, come ci spiega il cameriere, è tipico della ex Jugoslavia e lo apprezziamo non poco. Il costo medio di una cena nel centro di Dubrovnik si aggira attorno alle 200 Kune, quindi poco meno di 30€, ma si può risparmiare moltissimo servendosi dai locali da asporto o dai panifici, i pekarnica, aperti anche di sera, dove è d'obbligo assaggiare il burek, una sorta di pizza rustica di pasta sfoglia ripiena di carne macinata o formaggio morbido simile alla ricotta.

Il 29 iniziamo già a stravolgere i programmi. Propongo di scendere in Montenegro seguendo la costa sino alla città sul mare di Sveti Stefan, attraversando Kotor e Budva, ma soprattutto costeggiando le Bocche di Cattaro, un'affascinante insenatura con uno stretto sbocco sul mare e le montagne affacciate tutto intorno, per un chilometraggio complessivo di circa 250km tra andata e ritorno
Alla frontiera montenegrina non abbiamo problemi, dopo non più di 10 minuti di attesa siamo dall'altra parte dopo un rapido controllo delle nostre carte d'identità, del libretto della moto e della carta verde. Ci godiamo il tragitto fino alle Bocche di Cattaro con abbondanti pause per immortalare il paesaggio mozzafiato del piccolo mare chiuso che sembra quasi un lago, con numerose funi per le cozze vendute in chioschi ai lati della strada. In una delle frequenti piazzole di sosta poste strategicamente in punti suggestivi, incontriamo due viaggiatori austriaci, uno dei quali avevamo incrociato alla dogana, che viaggiano su due sidecar Ural. Un cenno di saluto e ripartiamo senza più soste fino a raggiungere Sveti Stefan per l'ora di pranzo.
Sulla piccola isola rocciosa sorge un centro abitato che serviva da rifugio durante le incursioni turche. Ci fermiamo sulla spiaggia ed individuiamo un ristorante con terrazza sul mare dove accade qualcosa di decisamente inverosimile. Dopo essere stati respinti dalla cameriera in quanto non c'erano posti a sedere liberi, mentre ci giriamo per andarcene una coppia si alza e noi prendiamo il suo posto. Chiediamo di mangiare, e mentre tutti intorno a noi hanno piatti colmi di cibo, veniamo nuovamente invitati ad andare via perchè "c'è troppa gente, il cuoco è stanco e si deve riposare, non possiamo farvi mangiare". La teoria di M. è che il posto fosse troppo di lusso e la clientela selezionata e che quindi noi, sudati e trafelati, non dovevamo essere abbastanza attraenti per mantenere alto il livello del locale. Rimediamo un pasto al volo ad un minimarket nelle vicinanze e ci godiamo un po' di sole e mare. 

Nel pomeriggio torniamo sui nostri passi e visitiamo il centro fortificato di Kotor, o Cattaro, altra cittadina che ha conosciuto il dominio veneziano anche se con un'influenza meno evidente che a Dubrovnik. Qui M. si innamora di un piccolo negozietto che vende articoli artigianali che hanno come soggetto i gatti che abitano i vicoli di Kotor.
Le Alpi Dinariche fanno da sfondo alle mura ed alla cattedrale di San Trifone e mentre il sole inizia a calare indossiamo i caschi.
Ci rimettiamo in viaggio rigustandoci le bocche di Cattaro ma stavolta con le tinte rosate del tramonto e dopo un paio d'ore ed un'altra breve sosta per i controlli doganali rientriamo a riposare.

Il giorno seguente visitiamo la zona del Konavle, seguendo i piani. Seguiamo dei cartelli che ci incuriosiscono e ci arrampichiamo fino a Sokol Grad, forte che controllava la linea di confine dei territori sotto il dominio di Dubrovnik e che è possibile visitare per 40 Kune. La mia passione per bastioni e fortezze è cosa nota, ma Sokol Grad mi ha davvero entusiasmato occupando il primo posto nella classifica di gradimento dei luoghi visitati durante la settimana. E' incredibile l'impegno e la cura investiti per valorizzare un monumento di questo genere, a partire da “piccolezze” come il fatto di aver riasfaltato tutta la strada del tragitto che porta alla fortezza fino a vere chicche come la presenza di piccoli altoparlanti che a seconda degli ambienti diffondevano gli effetti sonori, dal martello sull'incudine nella fucina al rumore degli spari dei cannoni e le grida dei cavalieri sulla torre. La vista dal torrione più alto lascia senza fiato e spingendo lo sguardo all'orizzonte è anche possibile intravedere il mare.
Abbandoniamo il mondo medievale per immergerci nella natura, tra i boschi fiabeschi che circondano il fiume Ljuta. Antichi mulini sono stati conservati e tutto è curato e tenuto al confine tra bucolico e turisticamente fruibile. Vialetti e ponticelli non stonano con il carattere favoloso del luogo ma danno la sensazione che qualche creatura fantastica possa sbucare da un momento all'altro dai sassi inverditi di muschio. L'acqua del fiume è limpida e gelata e corre fino a valle attraversando diversi ristoranti tipici, che si sono integrati nello spirito del posto mantenendo ambienti sobri ed abiti tradizionali.
Rinfrancati dall'ombra e dall'aria fresca che spira sotto la coltre di rami, ci rimettiamo in moto e rientriamo nel tardo pomeriggio verso casa, non prima di aver fatto un tuffo nelle freddissime acque della spiaggia di ciotoli di Braje, situata nelle immediate vicinanze del porticciolo antico di Dubrovnik.

Mostar
Mostar

L’indomani ci aspetta quella che sarà la tappa più impegnativa del viaggio. Puntiamo a Split, per noi Spalato, divisa da Dubrovnik da circa 230 km di strada. E’ d’obbligo innanzitutto una menzione d’onore allo stato pressoché perfetto del manto stradale croato, neanche una buca e segnaletica orizzontale e verticale sempre impeccabile. Quella che però di solito considero una passeggiata di poco più di un paio d’ore, si rivela un’orgia di curve che richiederà quattro ore e mezza per essere evasa. E’ assolutamente sconsigliabile superare i limiti imposti anche in virtù della presenza capillare delle forze dell’ordine dotate di autovelox e perché oggettivamente la visibilità tra una curva e l’altra non lascia spazi di manovra che garantiscano sicurezza nei sorpassi. Tanto vale mettersi comodi tra i 60 e gli 80 km/h e godersi lo splendido litorale croato, ricco di ampie piazzole di sosta dove fermarsi per immortalare le vedute.
Anche le stazioni di servizio sono distribuite frequentemente sul tragitto, quindi si può davvero viaggiare tranquilli senza il patema di restare a secco, anche con un serbatoio da poco più di 16 litri.
Raggiungiamo il confine con la Bosnia che superiamo alla velocità della luce. La targa italiana ci garantisce un passaggio rapidissimo senza neanche il controllo dei documenti, attraverso la corsia dedicata ai cittadini comunitari. La Bosnia possiede un piccolo sbocco al mare di una decina di chilometri, che di fatto separa la stretta lingua di terra che ospita Dubrovnik dal resto della nazione.
Attraversiamo Neum ed il fazzoletto bosniaco in pochi minuti e siamo di nuovo in terra croata.

Molte ma molte curve più tardi raggiungiamo Split.
La città è davvero grande e ci facciamo strada fino al centro storico dove possiamo ammirare i resti del palazzo di Diocleziano all’interno ed intorno a cui si è sviluppato l’attuale centro pulsante del turismo. Nessun anfratto è stato risparmiato e sono state infilate praticamente ovunque sedie e tavolini. Persino intorno al centro del colonnato, sui gradoni, sono stati piazzati dei semplicissimi cuscini rossi che altro non sono che intelligentissimi coperti per i clienti di un esclusivissimo bar ristorante.
L’eccessiva speculazione mi lascia un po’ l’amaro in bocca e qualche ora più tardi, dopo aver mangiato una posticcia pizza surgelata ed esserci concessi una passeggiata tra il mercatino, fornito di qualsiasi souvenir e paccottiglia varia, ed il lungomare, ci rimettiamo in moto e ci godiamo il ritorno assaporando i colori che virano alle nostre spalle dal rosso al blu durante il tramonto.

Il primo agosto lo trascorriamo oziando. Le quasi nove ore in sella del giorno prima ci hanno decisamente provato e decidiamo di indugiare a letto qualche ora in più e di passare la giornata in una delle numerose spiagge di Dubrovnik. La maggior parte delle quali si trova però sotto gli alberghi e nonostante l’accesso sia libero, il parcheggio è reso difficoltoso dalle ampie aree riservate agli ospiti degli hotel. Ripieghiamo dunque senza troppo rammarico verso la già vista spiaggia di Braje e fruiamo ancora una volta della tonificante acqua ghiacciata e della vista del porticciolo protetto dalle antiche mura.
Il giorno prima D. aveva appreso dal social network del mio viaggio e il caso ha voluto che stesse discendendo la costa da Spalato a Budva con il suo amico A., proprio nel nostro stesso periodo. Ci siamo dati quindi appuntamento davanti alla fontana di Onofrio. Della serie che non ci vediamo dai tempi del liceo, e per uscire insieme dobbiamo beccarci fuori dall’Italia!
Rendo partecipe D. della mia idea di recarci in Bosnia l’indomani e mi consiglia caldamente di andare a visitare le cascate di Kravica, sebbene siano difficili da trovare in quanto non segnalate da nessun cartello e solo sommariamente sulla mia carta stradale.

Lo Stradun di Dubrovnik
Lo Stradun di Dubrovnik

Arriviamo così all’ultimo giorno utile di viaggio. Decidiamo di addentrarci in Bosnia ed Erzegovina ed andare a Mostar per vedere il famoso ponte, crollato durante la guerra nel 1993 ed ricostruito nel 2004. I controlli doganali filano ancora una volta senza intoppi, ma stavolta non essendo passati da Neum ma da un punto di controllo più interno viene data una rapida occhiata ai nostri documenti, anche se solo in ingresso.
Procediamo quindi spediti verso Mostar, e di nuovo restiamo stupiti dalla qualità dell’asfalto. Sicuramente non perfetto come quello del litorale croato, ma da far assolutamente invidia a qualsiasi statale pugliese generosamente disseminata di crateri e rattoppi su cui sono abituato a circolare.
I primi chilometri di territorio bosniaco sono ancora disseminati di bandiere croate, esposte sui balconi delle case e per le strade. Sui cartelli stradali ci sarebbero le indicazioni sia in caratteri latini che cirillici, ma questi ultimi sono stati spesso cancellati a colpi di bomboletta spray.
Un automobilista ci lampeggia e ci segnala la presenza più avanti di una pattuglia da cui non abbiamo assolutamente voglia di farci fermare visti i racconti letti e sentiti sull’intransigenza delle forze dell’ordine bosniache che ha detta di molti esigerebbero degli “incentivi” per proseguire il viaggio senza noie. Di pattuglie ne abbiamo incrociate un paio durante la giornata ma non siamo mai stati fermati e non abbiamo avuto alcun problema di sorta.
Dopo un’oretta di strada, su cui le moschee sorgono a pochi passi dalle chiese, arriviamo a Mostar. La città porta ancora i segni della guerra e sugli edifici non ristrutturati restano le cicatrici del conflitto. Non è raro trovare, uno accanto all’altro, un palazzo di nuova fattura ed uno con la facciata devastata da colpi di mortaio o da fori di proiettile.
Seguiamo le indicazioni fino al “Vecchio Ponte”, lo Stari Most e parcheggiamo la moto a pochi metri dalla monumentale struttura, patrimonio dell’UNESCO.
Degli “addetti alla sosta” dai dubbi cartellini identificativi si prenderanno cura della GSR e dei nostri caschi e giubbotti per 2 euro e 50, altrimenti, a loro detta in italiano, “se non la mettete qui non la trovate più la moto”.
Qui abbiamo incontrato due coppie di motociclisti italiani partiti da Roma che sarebbero stati in viaggio per altre due settimane e sarebbero scesi fino in Grecia per poi imbarcarsi per il ritorno in Italia in sella alle loro BMW GS 1200, a caccia di bandierine adesive da attaccare sui bauletti.
Dopo lo slancio di fiducia, liberi dall’impedimento dei bagagli, ci addentriamo nei vicoli in pietra che conducono al ponte. I negozi di souvenir ed i ristoranti si sprecano e notiamo immediatamente come i prezzi siano assolutamente stracciati rispetto a quelli visti in Croazia e Montenegro, testimonianza che il paese che ha voglia di rilanciarsi ed aprirsi al turismo.
Il ponte, alto 24 metri, congiunge le due parti della città di Mostar tagliata dal fiume Neretva. Anche in questo caso il panorama è impagabile, con la moschea che si riflette nelle acque del fiume da un lato ed il verde che inghiotte il sinuoso corso del fiume dall’altro.
Scendiamo sulla riva del fiume e non mi nego un tuffo nell'acqua freddissima in cui fanno usualmente il bagno i locali. Per pranzo mangiamo il più succulento, abbondante ed economico cevapcici della settimana, in uno dei numerosi ristoranti con hostess e camerieri agghindati in abiti tradizionali. Per il pranzo abbiamo pagato meno di 10 euro, quasi un terzo di quanto speso in Croazia. Viene tranquillamente accettata qualsiasi valuta oltre al Marco bosniaco, dall’Euro alla Kuna, tant’è che sullo scontrino del pranzo figura il prezzo anche convertito in moneta straniera.

Le Bocche di Cattaro
Le Bocche di Cattaro

Lasciamo la città e ci dirigiamo verso Medjugorje per una rapida visita al santuario.
Gli autobus di turisti si susseguono in processione e ciascuno dei gruppi esibisce la bandiera dello stato da cui proviene. Nel cortile retrostante viene celebrata una funzione all’aperto e sventolano bandiere tedesche, olandesi, ungheresi, ceche e molte altre. M. si ferma in chiesa per qualche minuto di raccoglimento mentre io mi tengo in disparte e mi guardo un po’ intorno.
I sensi unici di Medjugorje non ci hanno reso facile andare via e chiediamo indicazioni ad un poliziotto per andare verso Capljina per cercare le cascate, come segnato sulla mia carta, all’altezza di Studenci. Dopo qualche chilometro incontriamo un cartello proprio per “Studenci 2km”, e convinti di risparmiare tempo lo seguiamo. Poche centinaia di metri dopo l’asfalto sparisce e resta lo sterrato, proseguo ancora per poco finchè ci rendiamo conto di essere su una strada ancora in costruzione che a Studenci di certo condurrà, ma per ora ancora no.
Torniamo sui nostri passi e riprendiamo la strada originaria. Purtroppo la carta segna in maniera approssimativa la posizione delle cascate, che scopriremo in seguito essere più verso Ljubuski, per cui ci fermiamo prima, scendendo per una stradina secondaria che ci conduce ad una sorta di agglomerato di stazioni balneari sul fiume. Un paio di piccoli bar hanno i tavolini disposti su delle piattaforme galleggianti poggiate su bidoni vuoti ed in un’altra delle insenature era stato improvvisato un piccolo ristorante in cui veniva arrostita carne sulle braci.
Eravamo convinti che locali del genere esistessero solo sul mare. Ebbene sbagliavamo visto che pare che qui gli abitanti del posto hanno trovato il lido per le loro vacanze estive.
Vediamo qualche piccolo balzo del fiume nella discesa verso valle ma purtroppo le cascate non riusciamo ad individuarle e complice l’imbrunire ripuntiamo le ruote verso casa.

Per l’ultima sera a Dubrovnik decido di lanciarmi sul Burek al formaggio e D. non smette di rimproverarci per esserci persi le cascate. Spendiamo la nostra ultima serata passeggiando per le vie del centro con D. ed A. e ci salutiamo presto visto che l’indomani mattina di buon’ora noi lasceremo la stanza per poi imbarcarci per il ritorno e loro proseguiranno verso il Montenegro.
Il copione del ritorno è uguale a quello dell’andata. La moto viene assicurata nella stiva e noi ci prepariamo alle sette ore di traversata. Puntualissimo il traghetto salpa mentre le campane della chiesa suonano i dodici rintocchi del mezzogiorno e allontanandoci scattiamo le ultime foto dal mare e buttiamo un’ultima occhiata alla cittadina prima di sistemarci sul ponte. Potendo restare per tutto il tempo all’aperto mi risparmio il mal di mare sofferto all’andata. Verso le 5 e mezza la costa italiana è già in vista ed un’oretta dopo iniziano le manovre per l’attracco al porto di Bari. Sbarchiamo e torniamo infine alle nostra dimore.

Quella sera usciamo per festeggiare il compleanno di un’amica in centro, siamo ormai veramente tornati a casa. Ma di due cose non avevamo assolutamente nostalgia mentre eravamo in viaggio: le frequentissime buche, avvallamenti e rattoppi dell’asfalto, che mi sarei aspettato in paesi usciti relativamente da poco dalla guerra, e le carte gettate per terra e le bottiglie di vetro abbandonate sui muretti, assolutamente non congrue con la supposta levatura morale di cittadini di un paese che si dichiara esempio di civiltà, ma che non valorizza e rispetta il suo stesso patrimonio comune.

Cristiano Guttà

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